Come noto, a partire dal 2000, il numero di capi bufalini allevati in Italia ha fatto registrare un progressivo aumento sino ad oggi (BDN, dicembre 2021) con oltre 425 mila capi totali (figura 1).
L’aumento della popolazione bufalina è sicuramente dovuto alla crescente domanda di latte di bufala, le cui caratteristiche lo rendono unico e indispensabile per la produzione di mozzarella.
Questo prodotto, nell’ambito della DOP, ha fatto registrare nello stesso periodo di tempo, un esponenziale aumento della produzione (figura 2), generando, solo nell’ultimo anno, un incremento del 1,6%, con un valore della produzione totale corrispondente a 426 milioni di euro (www.mozzarelladop.it). Al termine del 2021, la mozzarella di bufala campana DOP si posiziona come il terzo formaggio italiano e come quarto prodotto DOP in Italia (XVIII Rapporto Ismea-Qualivita).
Ne consegue che, per fronteggiare la crescente richiesta di latte degli ultimi anni, gli allevatori hanno dovuto adottare delle strategie finalizzate al miglioramento della produttività aziendale, senza penalizzare eccessivamente le caratteristiche qualitative (grassi e proteine).
Attraverso i processi di selezione genetica, ANASB ha svolto sicuramente un importante ruolo in questo contesto di crescita della produzione, ma ancor di più, a partire dal 2018, creando un nuovo indice di selezione: l’Indice Bufala Mediterranea Italiana (IBMI). Questo indice, infatti, nasce dal confronto continuo sia con gli allevatori che con i trasformatori, dal quale si è capito come fosse necessario enfatizzare ancor di più l’attitudine casearia dei soggetti, valorizzando al tempo stesso i livelli produttivi (Kg di latte) e la morfologia funzionale. Quest’ultimo aspetto scaturisce dall’introduzione dei caratteri legati agli arti e all’apparato mammario nel calcolo dell’IBMI, favorendo di conseguenza una migliore locomozione, una buona mungibilità ed una maggiore permanenza in stalla. In tale direzione l’IBMI introduce il concetto di longevità per la prima volta nella storia della bufala mediterranea italiana (BMI).
Ed è proprio la longevità uno dei temi principali sui quali ANASB ha concentrato l’attenzione e svolto numerose ricerche, al fine di mettere a disposizione degli allevatori informazioni utili per individuare le strategie migliori per il progresso genetico della propria stalla. All’ultimo Convegno Nazionale SIB (Società Italiana di Buiatria), ANASB ha presentato un approfondimento sul tema della longevità come uno dei diversi studi preliminari per lo sviluppo dei nuovi indici di selezione previsti dal progetto BIG: Bufala Mediterranea Italiana – Tecnologie Innovative per il Miglioramento Genetico.
Nello specifico la ricerca sottolinea quanto sia importante allevare animali longevi ed evidenzia la stretta relazione che intercorre fra longevità e morfologia funzionale, con i conseguenti benefici per l’allevatore (figura 3).
In tale studio sono stati individuati i caratteri che riguardano l’apparato mammario e che risultano essere maggiormente correlati con la longevità funzionale, tenendo in considerazione il quantitativo di cellule somatiche nel latte.
Considerato che le infezioni mammarie in zootecnia rappresentano un grave problema, poiché si riflettono negativamente sull’intero stato di salute degli animali con conseguenti importanti perdite economiche, uno degli aspetti che viene tenuto maggiormente in considerazione per la valutazione dello stato sanitario della mammella è quello della conta del numero delle cellule somatiche (SCC).
In base al numero di cellule ritrovate nel latte è possibile determinare lo stato di infiammazione della ghiandola mammaria che, per praticità, viene convertito su una scala logaritmica (SCS), rappresentando un indicatore di suscettibilità alla mastite.
Nonostante siano molteplici i fattori che influenzano la presenza di cellule somatiche nel latte, come i fattori ambientali (tecnica di mungitura, gestione aziendale, igiene dell’allevamento) e i fattori genetici, ANASB ha focalizzato l’attenzione sulla relazione tra la morfologia funzionale e le cellule somatiche, con l’obiettivo di guidare gli allevatori in un percorso di riduzione del valore di SCS nel latte attraverso la selezione genetica dell’apparato mammario, al fine di ottenere animali più funzionali e quindi più longevi.
Sono stati analizzati i dati appartenenti a 16.627 bufale primipare (primo parto dal 2010 al 2019) e nel modello sono stati considerati i seguenti parametri: produzione di latte, effetto allevatore, SCS, morfologia.
Dai risultati ottenuti si sottolinea come risulta essere significativo lavorare sulla morfologia dell’apparato mammario. Nella figura 4, viene messo in relazione il punteggio lineare attribuito alla valutazione della mammella con il livello di cellule somatiche; dal trend si può notare come all’aumentare del punteggio morfologico si verifica una diminuzione del valore delle cellule somatiche nel latte.
Inoltre, dai risultati è emerso come una corretta morfologia relativa alla posizione e alla lunghezza del capezzolo, così come alla profondità della mammella, contribuisca anch’essa a ridurre il contenuto di SCS nel latte (figura 5).
In definitiva i caratteri morfologici legati all’apparato mammario nella BMI hanno mostrato un impatto significativo sulla longevità. Questo risultato è assolutamente comprensibile considerando che i caratteri valutati giocano un ruolo fondamentale nelle attività legate alla mungitura.
Lo studio in oggetto rappresenta il primo passo per lo sviluppo di una routine destinata alla prima valutazione genetica sulla longevità funzionale nella BMI, ponendo le basi per la futura applicazione di nuovi indici genetici e genomici, che rientrano tra gli obiettivi previsti dal progetto BIG.
Per la lettura completa dell’elaborato: